La relazione.
Arte partecipativa per spazi in-between

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marzo 2023

«Prendere coscienza comporta, come ci ha insegnato
Édouard Glissant, tremare: sentire che siamo parte
del problema che vogliamo risolvere. E, pertanto, capire
che non ci sarà alcun cambiamento possibile che
non implichi una mutazione dei nostri propri processi
di soggettivazione politica, dei nostri modi di produzione,
di consumo, di riproduzione, di nominazione, di
relazione, delle nostre modalità di rappresentare, di
desiderare, di amare. Prendere coscienza è farsi carico
del fatto che il nostro proprio corpo vivo e desiderante
è l’unica tecnologia sociale che può portare a
termine il cambiamento» (1).

Questo progetto di tesi nasce da un momento di incertezza. Dalla difficoltà nel comprendere il contemporaneo e, soprattutto, dalla difficoltà di capire come il mio corpo e la mia azione artistica si possano
inserire all’interno di esso.

Che senso ha fare arte quando il periodo storico che stiamo vivendo in Occidente, pare pervaso da una forma di impotenza generalizzata di fronte agli eventi che accadono tutto attorno a noi, ad un ritmo accelerato e martellante?

Dai cambiamenti climatici alla pandemia, dalla guerra in Ucraina alla minaccia atomica, passando per la crescita del consenso nei confronti dell’estrema destra in Europa. Questo vortice di “cattive notizie” ci sta rendendo obesi (2) : non siamo più in grado di metabolizzare la loro potenza emotiva ed elaborarle. Tutto ciò che accade sembra fuori dalla nostra portata, troppo lontano dal nostro controllo come singoli individui, finendo per aumentare il senso di disillusione che caratterizza la nostra epoca. Siamo diventati incapaci di lasciarci muovere da ciò che accade, una società stanca, nonostante – o grazie a – l’agio nel quale siamo immersi e la quantità di mezzi, sollecitazioni e informazioni a nostra disposizione (3).

Per combattere questa tendenza dobbiamo contrastare la stanchezza del soggetto di prestazione, una stanchezza che separa, solitaria e priva di mondo, quella dell’Io esaurito. Dobbiamo (ri)imparare una nuova forma di attenzione, lasciandoci pervadere da una stanchezza frutto della disponibilità. Quella del soffermarsi e dell’indugiare per imparare-a-vedere.


È necessario, oggi più che mai, riappropriarsi del governo sulle nostre vite come condizione imprescindibile per la sopravvivenza. Per fare questo dobbiamo, prima di tutto, tornare al territorio per far riaffiorare la memoria storica che vede gli abitanti come soggetto attivo, portatore di una coscienza di luogo, di culture, saperi e identità dinamiche (4). Dobbiamo fare ciò a partire dal nostro corpo vivo, dobbiamo posizionarci chiaramente e prendere consapevolezza che il nostro privilegio, all’interno della società, è uno strumento che possiamo usare per sovvertirne le regole.


Uno dei miei privilegi è quello di essere un’occidentale, con una formazione accademica nel mondo dell’arte.
Voglio usare questo mio privilegio per proporre una pratica artistica che diventi vita. Che cammini sui margini facendosi interdisciplinare. Che sposti l’attenzione focale da se stessa allo spettatore, rendendolo partecipe, soggetto. Che diventi pedagogica, facendosi strumento per (ri)imparare a vedere e (ri)abitare i luoghi. Che non sia elitaria, ma capace di parlare a tutti. Una pratica artistica che diventi azione politica e sociale.

 


 

(1) P. B. Preciado, Le ragioni per essere ottimist3, «Internazionale», 7 dicembre 2022, <www.internazionale.it/opinione/paul-preciado/2022/12/07/ottimismo-lotta > (5 febbraio 2023).
(2) B.-C. Han, La società della stanchezza, Roma, Not tetempo, 2020.
(3) Ibidem.
(4) M. Alberto, Il principio territoriale, Torino, Bollati Boringhieri, 2020.

Torino